INTERVISTA A LUCA SCIORTINO: SCRITTORE, FILOSOFO DELLA SCIENZA E GIORNALISTA DI PANORAMA. IN ESCLUSIVA SEGUIAMO IL SUO GIRO DALL'INGHILTERRA AL GIAPPONE.
Dalla Scozia alla Cina per terra e mare
Chi non vorrebbe lasciare tutto per tre mesi e fare un giro
per il mondo? Come sta facendo Luca Sciortino, filosofo della scienza e
scrittore, ora in viaggio dalla Scozia al Giappone via terra e mare. Neanche un
aereo, ma solo treni e autobus per raggiungere l’estremo Oriente attraverso un
viaggio di più di 15mila chilometri.
Quale sarà il tuo
percorso?
Ci sono vari modi di raggiungere l’Asia dall’Europa. Il modo
più facile è passare dalla Russia: Mosca, Irktusk e poi tagliare la Mongolia da
Nord a Sud. Una delle tratte della transiberiana per intenderci. Un secondo
modo è passare dal Kazakhstan raggiungendolo da Kiev e Saratov. Un terzo è
seguire rotte simili a quella di Marco Polo passando da Paesi odierni come la
Turchia, l’Afghanistan e l’Iran. Io ho scelto il secondo modo perché, pur
presentando rischi, non è così pericoloso come il terzo. Io passerò da
Budapest, Kiev, Saratov, Almaty per poi risalire verso nord e deviare verso
Ulan Bator. Una volta lì si incrocia l’ultima parte della transiberiana.
Perché questa tua
scelta?
Un puro desiderio di conoscenza. Vorrei vedere cambiare
culture, capire le continuità e le discontinuità tra Europa e Asia. Oggi si
viaggia in aereo e non si ha la percezione di tutto ciò. Una volta i viaggi
erano a piedi, o a cavallo, o in carrozza. Ci si doveva fermare, parlare con la
gente del luogo, affrontare le difficoltà poste dai territori, dalle montagne,
dai fiumi. Si capivano così le differenze e le ragioni di queste differenze.
Quindi conoscere
persone locali sarà importante?
Certamente. Io ho già preso contatti con persone nei vari
Paesi che attraverserò. Alcuni sono amici di amici non italiani che nel tempo
avevo conosciuto a Londra e a Leeds. Altri li ho sconosciuti grazie ad amici
italiani o a persone che, prese dalla simpatia per il mio progetto, hanno
voluto aiutarmi. Arrivato a Pechino incontrerò mio cugino che vive lì e lavora
come manager. Mi fermerò da lui una settimana e potrò sfruttare le sue
conoscenze del luogo, oltre alla sua ospitalità. Poi proseguirò verso sud, a
Gullin, il punto più a sud del mio viaggio. Poi a Shanghai e Tokyo.
Hai un
equipaggiamento particolare?
Nessuno, perché dopotutto ci sono viaggi ben più difficili
di questo. L’ostacolo di questo viaggio è l’enorme distanza. Più che altro sono
leggero per muovermi rapido. E ho una macchina fotografica, una versione
americana di una Canon 600D, che è molto leggera rispetto alle altre della
stessa categoria.
Però è comunque un viaggio pericoloso da fare da soli…
Certo, ma attraversare l’Europa lo è già. Io passerò da
Parigi la prossima settimana dove hanno da poco sventato un futuro attentato.
Cosa fotografi?
Quando viaggio fotografo anche la natura. Non solo le
persone o i monumenti o altro ancora. Per esempio in Scozia e in Inghilterra ho
fotografato anche animali, come si vede nella mia pagina di blog. Penso infatti
che lo stato dell’ambiente dica molto sul grado di civiltà di un Paese. Se
riesco a fotografare le lepri, le volpi e gli scoiattoli con facilità estrema,
come è successo in Inghilterra, vuol dire anche che il senso civico di questo
Paese è enorme. Certamente dovuto alla sua storia. Ma credo che in un viaggio
così ci voglia un mix di tutto: “street photography”, “wildlife”, “landscape”.
Io sono più uno scrittore e meno un fotografo ma ritengo essenziale usare anche
questo mezzo di espressione nei viaggi.
In questo caso cosa
significa essere uno scrittore?
Può significare molte cose diverse. Dipende da cosa si
scrive e come. Se si scrive un report giornalistico del viaggio vuol dire
portare alla luce delle storie che sono lì, che tu hai scoperto e che racconti.
Se scrivi un racconto, prendi spunto da un particolare e costruisci una tua
storia. Se scrivi una riflessione puoi partire da un certo numero di storie o
di immagini o di persone conosciute, magari una per ogni Paese, e da lì
scavare. Scavare nella storia e nel pensiero e arrivare a delle conclusioni o a
delle domande inconcepibili prima.
Quindi pubblicherai
un libro?
Mi piacerebbe e ho ricevuto qualche timida proposta. Però
sto ancora riflettendo su come farlo. Spero sia possibile. Pubblicherò
certamente articoli e foto, specialmente in lingua inglese.
Come hai trovato il
tempo di un viaggio come questo e perché sei partito proprio ora?
Ho lavorato un anno all’università di Leeds come Research
Fellow in epistemologia. Al termine
della fellowship avevo tre mesi liberi e ho pensato che il migliore modo di
sfruttare quel tempo era viaggiare.
Perché proprio
l’Asia?
All’inizio pensavo di andare in America Latina. Dopo aver
letto Bruce Chatwin non si può non sognare la Patagonia. Volevo però anche far
visita a mio cugino a Pechino e conoscere culture e storie molto diverse da
quella europea. Noi siamo figli della Grecia antica, di una società polemica,
che amava mettere in discussione tutto. La storia della Cina è una storia di
imperatori e dinastie. Non mi affascina, ma lo voglio conoscere e capire. E poi
la Cina è la chiave di volta della politica internazionale. Forse questo
viaggio non sarà abbastanza per tutto ciò, ma è già qualcosa.
Ti fermerai anche in
altri Paesi. Che idea ti sei fatto dei loro problemi?
Sì mi fermerò in Ungheria, Ucraina, Kazakhstan e Mongolia. E
alla fine in Giappone. Mah io vedo un primo problema: la rinascita dei
nazionalismi. Non è un fenomeno solo europeo. Per esempio anche in Mongolia
stanno nascendo molti gruppi neonazisti. Si sostituiscono alla polizia, vanno
nelle fabbriche possedute da cinesi dietro prestanome, controllano documenti,
accusano e spesso usano la violenza. Parlano di purezza della razza mongola e
alimentano l’odio verso i cinesi. Il nazionalismo è spesso dettato dalla paura.
Il mondo si globalizza e la gente teme di perdere la propria identità e le
proprie certezze. L’ondata delle migrazioni umane causate da guerre sbagliate
e, in futuro, dai cambiamenti climatici sono naturalmente l’altra ragione. L’Ungheria non è stato certamente un esempio
di solidarietà. Un secondo problema è la libertà di espressione. Paesi come la
Cina o la Russia non la rispettano e questo rende la vita particolarmente
difficile agli intellettuali, costretti a volte ad emigrare o subire violenza.
Non si pensa mai a questo, ma nella storia per gli intellettuali è stato sempre
molto difficile in queste situazioni. Il terzo problema è la distribuzione
delle ricchezze, dove la Cina ha comunque fatto passi avanti enormi. Infine,
c’è un problema legato al riscaldamento globale dovuto alle emissioni di
origine antropica. Purtroppo molti Paesi subiranno in diversi modi conseguenze
disastrose. I fenomeni meteorologici saranno più estremi perché c’è più energia
in atmosfera.
Ora che sei in
Inghilterra che idea hai di questo Paese e della scelta che ha fatto, Brexit?
Io ho avuto da sempre una grande ammirazione per il Regno
Unito. Nel tempo, vivendoci, ho potuto vederne i difetti, ma questo non mi
impedisce di amarne certi aspetti. Nonostante tutto, lo trovo un Paese
tollerante, un Paese fiero, con un rispetto profondo della libertà personale e
in grado di valorizzare le capacità degli individui. Lo deve alla sua storia e
al suo pensiero, sebbene non manchino le contraddizioni profonde che ne
sporcano l’immagine. Brexit è stata una sorpresa per gli inglesi stessi,
perfino per quei politici che ne suggerivano la necessità. A tal punto che non
era pronta una strategia per il post-Brexit. La gente qui ha la percezione
profonda di questo. Nello stesso tempo, però, esiste una fiducia consolidata
nella politica, che per esempio non esiste da noi. Così dopo un primo sconcerto
c’è ottimismo.Il punto di forza di questo Paese, anche a livello economico, è
che il suo governo viene percepito come serio e capace di strategie chiare e
decise. A Brexit hanno contribuito tante
cose. Prima di tutto il fatto che il progetto europeo è stato mal concepito, un
fatto che dopotutto non richiedeva grandi conoscenze di economia per essere
compreso negli anni della nostra adesione alla moneta unica. Secondo,
l’ostilità storica nei confronti del progetto europeo da parte degli inglesi.
Terzo, un voto di protesta delle classi più povere, un segno che le diseguaglianze
economiche stanno aumentando.
Le prossime tappe?
Il 20 Settembre a Budapest, poi Kiev, Saratov, Almaty,
Novosibirsk, Ulan Bator, Pechino, Gullin, Shanghai, Tokyo. Queste sono le tappe
principali, Ma viaggerò all’interno del Kazakhstan, della Siberia, della
Mongolia, del sud della Cina e del Giappone.
Quando prevedi arrivare
a Pechino?
Circa un mese e mezzo dopo del mio arrivo a Budapest. A
Tokyo una ventina di giorni dopo. Ma questo perché soggiornerò per almeno una
settimana in ogni Paese.
Ci dici qualcosa sul
tuo futuro?
Io credo che al termine del viaggio avrò un bagaglio enorme
di idee su cui lavorare. Ci vorrà tempo per elaborare e riflettere. Mi
piacerebbe viaggiare ancora, per esempio percorrendo da nord a sud l’America
Latina, ma non so se mai avrò il tempo per poterlo fare. Se così non sarà
continuerò a viaggiare con la mente. Leggere, studiare e pensare non sono
troppo di diversi dal viaggiare.
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